Con l’allegata sentenza n. 6572 del 24 marzo scorso, la Corte di Cassazione ha fornito un ulteriore contributo circa la disciplina dell’onere della prova in relazione al danno professionale, biologico ed esistenziale derivante da demansionamento.
A tal proposito è opportuno, prima ancora di approfondire quanto statuito dalla Corte Suprema, riepilogare ciò che fino a questo momento è stato oggetto di un forte contrasto giurisprudenziale.
Assodata la natura contrattuale della responsabilità del datore di lavoro nei casi di demansionamento, che, anche a seguito di orientamenti precedenti, attribuiva l’onere probatorio in capo al datore stesso (Cass. Sez. lav. n. 19686/05 in tema di onere probatorio datoriale per non aver reperito mansioni equivalenti per il lavoratore divenuto inidoneo; Cass. Sez. Un. n. 4766/06 relativamente all’onere probatorio datoriale per dimostrare di non aver dequalificato il dipendente; Cass. Sez. Un. n. 141/06 in tema di onere probatorio datoriale dei requisiti dimensionali aziendali per la reintegrazione nel rapporto ex art. 18 S.d.L), oggi la Corte, non tenendo conto dell’orientamento prevalente, ha disposto che l’onere di dimostrare di aver subito un danno è posto in capo al lavoratore.
La Suprema Corte, in un recente passato, sulla base delle posizioni dottrinali e conseguentemente della fondamentale decisione n. 15353/01, sul c.d. riparto in sede processuale degli oneri probatori, aveva individuato nel rapporto intercorrente tra lavoratore subordinato e datore di lavoro, sia privato che pubblico, la fattispecie civilistica del contratto con obbligazioni corrispettive, da cui deriva la responsabilità del datore di lavoro nel caso di violazione dell’art. 2103 c.c. (divieto di dequalificazione) e dell’art. 2087 c.c. (tutela dell’integrità psicofisica del lavoratore).
In entrambi i casi l’inadempimento datoriale, in violazione di un obbligazione di fare, comporterebbe il regime di responsabilità previsto dall’art. 1218 del c.c. che così dispone: “ il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. In termini di oneri probatori spettava, quindi, al lavoratore, nell’ipotesi di demansionamento o dequalificazione, l’onere di allegare l’inadempimento del datore, mentre gravava su quest’ultimo l’onere di provare l’esatto adempimento del suo obbligo, o attraverso la prova dell’inesistenza del demansionamento, oppure attraverso la prova del legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali o disciplinari ovvero da un’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
Con la sentenza n. 6572/06, le Sezioni Unite, rispetto ai precedenti indirizzi che cercavano di assicurare un certo grado di effettività al principio dell’art. 2103 del c.c., annullando di fatto gli oneri del lavoratore di allegazione e di prova della reale diminuzione subita, hanno statuito che: l’inadempimento datoriale non può determinare automaticamente l’esistenza di un danno risarcibile e quindi l’obbligo di una specifica allegazione da parte del lavoratore che dimostri concretamente in giudizio: il tipo, il modo e le peculiarità del danno subito e conseguentemente il nesso di causalità con l’inadempimento contrattuale datoriale.
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