Sui criteri di scelta nelle procedure di licenziamento collettivo, sembra delinearsi un contrasto tra la Corte di Cassazione e alcune sentenze dei giudici di merito.
Al centro del dibattito è, in particolare, uno dei criteri più utilizzati negli accordi sindacali per individuare i lavoratori da collocare in mobilità e cioè il possesso dei requisiti pensionistici o la possibilità di raggiungerli nel corso della stessa mobilità.
La Corte di Cassazione, nella sentenza in oggetto, conferma il principio secondo il quale adottare questo unico criterio di scelta è legittimo qualora permetta di formare una graduatoria unica e possa essere applicato e controllato senza alcun margine di discrezionalità da parte del datore di lavoro.
La Corte, in tal modo, aderisce a precedenti pronunce della sezione lavoro (sentenza 26 settembre 2002 n. 13962; sentenza 2 settembre 2003 n. 12781) che tenevano conto anche della interpretazione della Corte Costituzionale in materia (sentenza n. 268 del 30 giugno 1994).
Tale orientamento non è stato sempre condiviso dai giudici di merito, in particolare dalla sezione lavoro del Tribunale di Milano (sentenza 7 gennaio 2005, n. 23 e sentenza 10 marzo 2005, n. 1773).
I giudici milanesi hanno ritenuto che l’adozione del criterio rappresenta di fatto una discriminazione indiretta in ragione dell’età, determinando una situazione di svantaggio per i lavoratori di età più elevata i quali, invece, dovrebbero godere della stessa tutela e degli stessi diritti dei lavoratori non ancora in possesso dei requisiti pensionistici.
La conseguenza di questa contrarietà alle suddette norme antidiscriminatorie, secondo i giudici del Tribunale di Milano, non può che essere la nullità del criterio medesimo.
Nella stessa direzione si esprime anche un’altra sentenza del predetto Tribunale, secondo cui è solo l’applicazione unica e generalizzata del criterio in parola – utilizzato indipendentemente dalla valutazione dei profili professionali coinvolti – a porre coloro che appartengono a una determinata fascia di età in una situazione di particolare svantaggio rispetto agli altri dipendenti, come tale vietata dalla citata norma antidiscriminatoria.
Alla luce di quanto sopra, ad avviso della scrivente, dopo l’entrata in vigore della disciplina di cui al più volte citato decreto legislativo n. 216/03, che vieta espressamente la discriminazione in base all’età, occorrerà maggiore cautela da parte delle imprese nell’adottare ed applicare criteri di scelta dei lavoratori da licenziare nei quali l’età medesima assuma un ruolo determinante.
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