La fattispecie, oggetto della sentenza in commento, riguarda una lavoratrice che ha subito due diversi licenziamenti da parte dello stesso datore di lavoro. Il primo atto di recesso, motivato da uno stato di crisi aziendale, è stato annullato perché adottato in violazione dell’art. 2 della legge n. 1204/71, vale a dire per il divieto di licenziamento delle lavoratrici madri; il secondo licenziamento, invece, era stato comunicato a seguito della cessazione dell’ attività commerciale da parte della società datrice di lavoro.
Secondo i giudici di merito, essendo il secondo licenziamento basato su un fatto nuovo e diverso, avrebbe dovuto essere autonomamente impugnato da parte della lavoratrice.
Invece, secondo la ricorrente non soltanto la motivazione posta alla base dei due cennati licenziamenti era la stessa, ma la ragione giustificativa del secondo recesso si riferiva ad un fatto intervenuto durante il periodo di astensione obbligatoria post – partum, verificatosi quindi prima dell’impugnazione dell’iniziale risoluzione. Il successivo recesso, cioè, proprio perché inidoneo a sortire alcun effetto, non poteva e non doveva essere impugnato.
Circa la suddetta doglianza, la Corte non ignora l’orientamento secondo cui un ulteriore licenziamento, intimato nelle more del giudizio di impugnativa di un altro anteriore e prima della sentenza che disponga la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, rimane privo di ogni effetto per l’impossibilità di adempiere alla propria funzione, in quanto il rapporto di lavoro è già estinto, all’atto in cui il lavoratore abbia ricevuto la intimazione di quello iniziale (Cass.. 5 aprile 2001, n. 5092).
Ma la Cassazione afferma altresì che il richiamato principio non è applicabile al caso di specie, essendo il licenziamento intimato alle lavoratrici madri in violazione della citata legge n. 1204 affetto da nullità e pertanto improduttivo di effetti, con la conseguenza che il rapporto di lavoro deve intendersi come mai interrotto e la lavoratrice ha diritto al risarcimenti dei danni, senza che possa trovare applicazione la disciplina prevista dall’art. 18 legge n. 300/70.
Ne consegue, posto che il primo recesso, intimato in violazione della legge n. 1204/71, non poteva conseguire alcun effetto, il rapporto di lavoro era ancora pendente quando la Società intimò il secondo licenziamento.
Osserva la Corte che tale conseguenza è da escludere nel caso di specie per il semplice motivo che si era formato il giudicato, non solo in merito alla nullità del primo licenziamento, ma anche su un decreto ingiuntivo mai opposto dalla Società in parola.
A tal proposito, la Suprema Corte ricorda che il decreto ingiuntivo non opposto è un provvedimento idoneo ad acquistare autorità di cosa giudicata non solo in relazione al credito azionato ma anche al rapporto dal quale lo stesso deriva. Ciò significa, conclude la Corte, che il giudicato si estende anche all’esistenza di fatti impeditivi, estintivi o modificativi del rapporto di lavoro e del credito anteriore al ricorso per ingiunzione e non dedotti con opposizione, ma non a quelli successivi al giudicato e a quelli che comportino un mutamento del “petitum ” ovvero della causa “petendi” nell’ambito della domanda rispetto al ricorso esaminato dal decreto ingiuntivo di che trattasi.
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