Con il messaggio n. 528 del 5 febbraio 2021, l’INPS fornisce indicazioni operative sugli aspetti contributivi conseguenti all’interruzione del rapporto di lavoro a seguito di accordo collettivo aziendale, in deroga al divieto di licenziamento. Sono forniti, altresì, chiarimenti sull’istituto della revoca del licenziamento di cui all’art. 14 co. 4 del D.L. n. 104/20, operante per il periodo dal 15 agosto al 13 ottobre 2020.
Per quanto riguarda il tema delle interruzioni di rapporto di lavoro nelle ipotesi di contratto collettivo aziendale, il documento qui illustrato fa seguito al messaggio n. 4464/20 (cfr. comunicazione Ance del 22 dicembre 2020), al quale si rinvia, e si riferisce alle disposizioni introdotte in materia sia dal Decreto Agosto[1], sia dal Decreto Ristori[2] e, da ultimo, dalla Legge di Bilancio 2021[3].
Il divieto di licenziamento, disposto dalla legislazione emergenziale fino al 31 marzo 2021, non opera a fronte di alcune fattispecie espressamente previste, tra cui l’ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo. A questi ultimi è riconosciuto, ove ricorrano gli altri presupposti di legge, il trattamento di disoccupazione NASpI.
L’INPS precisa che l’interruzione del rapporto di lavoro interviene a seguito di una risoluzione consensuale[4] stipulata secondo le modalità espressamente previste dalla norma, ossia tramite accordo collettivo aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale (non anche con accordi territoriali o nazionali) di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro. L’effetto risolutivo del rapporto di lavoro si produce soltanto per i lavoratori che aderiscono a tale accordo e secondo le modalità previste dallo stesso.
Dal 15 agosto 2020 (data di entrata in vigore del Decreto Agosto) le interruzioni di rapporto di lavoro intervenute per la fattispecie di cui sopra devono essere esposte nel flusso Uniemens con il nuovo codice Tipo cessazione “2A”, avente il significato di “Interruzione del rapporto di lavoro a seguito di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro”.
I datori di lavoro che nel frattempo abbiano utilizzato un diverso codice Tipo cessazione devono procedere alle necessarie correzioni, secondo le consuete modalità.
Inoltre, per tale fattispecie il datore di lavoro è tenuto a versare il c.d. ticket di licenziamento.[5]
Per quanto riguarda la misura del predetto contributo di licenziamento e il computo dell’anzianità lavorativa, l’Istituto rinvia a quanto precisato con la circolare n. 40 del 19 marzo 2020 (cfr. comunicazione Ance del 25 marzo 2020).
In via generale, tale contributo, interamente a carico del datore di lavoro, deve essere versato in unica soluzione entro e non oltre il termine di versamento della denuncia successiva a quella del mese in cui si verifica l’interruzione del rapporto di lavoro. Per quanto riguarda le cessazioni per la fattispecie di cui sopra intervenute anteriormente alla pubblicazione del messaggio qui illustrato, il contributo di licenziamento deve essere versato, senza applicazione di ulteriori oneri, entro e non oltre il termine di versamento della denuncia del mese di marzo 2021.
Per le ulteriori fattispecie escluse dal divieto di licenziamento[6], l’INPS rinvia alla citata circolare n. 40/20 per quanto attiene alle modalità espositive delle interruzioni del rapporto di lavoro.
*****
Con il medesimo messaggio qui illustrato, l’INPS fornisce indicazioni operative per la gestione degli aspetti contributivi afferenti l’istituto della revoca del licenziamento, introdotta dal comma 4 dell’art. 14 del D.L. n. 104/20 e successivamente abrogata dalla legge di conversione del D.L. medesimo.[7]
La revoca dei licenziamenti è stata quindi possibile nel periodo dal 15 agosto al 13 ottobre 2020: il datore di lavoro poteva revocare i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo intimati nel corso dell’anno 2020, a condizione di inoltrare contestualmente richiesta di concessione del trattamento di integrazione salariale con causale Covid-19, con decorrenza dalla data di efficacia del licenziamento revocato.
L’Istituto chiarisce che, in tal caso, il rapporto di lavoro è ripristinato senza soluzione di continuità e, dal momento che il lavoratore beneficia del trattamento di integrazione salariale, il rapporto stesso deve considerarsi sospeso per il periodo che intercorre tra la data del licenziamento e la data della sua revoca e per tutta la durata del predetto trattamento di integrazione salariale, al termine del quale decorrono nuovamente gli obblighi contributivi in capo al datore di lavoro.
Tuttavia, in considerazione del fatto che durante i periodi di integrazione salariale (CIGO/ASO/CIGD) le quote di TFR maturate restano a carico del datore di lavoro, i datori di lavoro soggetti alla disciplina del Fondo di Tesoreria devono versare a quest’ultimo le quote di TFR maturate dal lavoratore a decorrere dalla data del licenziamento revocato e durante il periodo di integrazione salariale richiesto ai sensi del citato comma 4 dell’art. 14.
I datori di lavoro che non abbiano adempiuto al suddetto obbligo sono tenuti a darvi seguito entro e non oltre il termine di versamento della denuncia successiva a quella del mese di pubblicazione del presente messaggio, senza applicazione di ulteriori oneri.
Resta fermo che, per i datori di lavoro tenuti al versamento al Fondo di Tesoreria, l’obbligo contributivo permane secondo le ordinarie scadenze durante i periodi di integrazione salariale non connessi alla fattispecie di cui sopra.
L’INPS chiarisce, infine, che, a seguito della suddetta revoca, viene meno l’obbligo del datore di lavoro di versare il c.d. ticket di licenziamento. Per il recupero dell’importo eventualmente versato a questo titolo, i datori di lavoro dovranno avvalersi della procedura delle regolarizzazioni (Uniemens/vig), secondo le consuete modalità.
[1] Art. 14 c. 3 del D.L. n. 104/20, convertito con modificazioni dalla legge n. 126/20.
[2] art. 12 c. 11 del D.L. n. 137/20, convertito con modificazioni dalla legge n. 176/20.
[3] Art. 1 c. 311 della legge n. 178/20.
[4] Come già chiarito nel citato messaggio n. 4464/20, al quale l’INPS fa esplicito rinvio per quanto attiene all’accesso all’indennità NASpI.
[5] Di cui all’art. 2 commi 31-35 della legge n. 92/12. Ciò in quanto, in base alla disciplina generale, i datori di lavoro sono tenuti al pagamento di questo contributo in tutti i casi in cui la cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato generi in capo al lavoratore il teorico diritto all’indennità NASpI, a prescindere dall’effettiva fruizione della stessa.
[6] Di seguito le ulteriori fattispecie escluse dal divieto di licenziamento:
[7] Di seguito il testo del comma 4 dell’art. 14 del D.L. n. 104/20, soppresso dalla legge di conversione n. 126/20:
“Il datore di lavoro che, indipendentemente dal numero dei dipendenti, nell’anno 2020, abbia proceduto al recesso del contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, può, in deroga alle previsioni di cui all’articolo 18, comma 10, della legge 20 maggio 1970, n. 300, revocare in ogni tempo il recesso purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale, di cui agli articoli da 19 a 22-quinquies del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro.”
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